di Peter Popham da The Independent
Le sue campagne pubblicitarie che
rappresentavano malati di Aids e carcerati nel braccio della morte sono
ormai un ricordo sbiadito, ma la società d’abbigliamento Benetton si è
imposta nell’immaginario pubblico come una sorta di avanguardia
appassionata e progressista. Il suo slogan “United Colours of Benetton”
incapsula questa sua visione del mondo in un’immagine di unica, grande e
felice famiglia piena di maglioni colorati.
Adesso, tuttavia, il
gruppo è diventato il bersaglio di feroci critiche in Argentina in seguito
al tentativo (riuscito) di cacciare dai terreni della società una povera
famiglia indigena . Ora la chiamano “United Colours of Land Grab”
(Arraffaterra, NdT).
La Benetton divenne il più grande proprietario
terriero dell’Argentina nel 1997, quando acquistò 900.000 ettari di
terreni in Patagonia, l’immensa area deserta nell’estremo sud del paese,
resa famosa dai diari di viaggio di Bruce Chatwin.
Deserta e vuota
è come appare questa distesa per via delle vaste vedute indifferenziate
che offre, ma è priva di abitanti solo perché i grandi possidenti
coloniali hanno agito e fatto in modo che restasse tale per 500 anni. I
brillanti, coinvolgenti e filantropi fratelli Benetton giunsero solo alla
fine di una storia lunga e notevolmente spietata.
Il popolo
indigeno dei Mapuche, chiamati anche Gente de la Tierra (Gente della
Terra) si è stabilito in Patagonia da 13.000 anni, secondo gli storici. Ma
furono cacciati via da queste terre e ridotti in povertà dagli spagnoli, e
da allora hanno subito continue invasioni, massacri ed espropri di terra.
L’episodio più clamoroso si verificò nel 1879, quando furono uccisi più di
1.300 mapuche e i loro terreni vennero confiscati per consegnarli ai
coloni britannici.
Le riforme per la creazione di un libero
mercato, sostenute dal Presidente Carlos Menem negli anni ’90,
incoraggiarono nordamericani ed europei facoltosi ad accorrere in
Patagonia, tentati dai prezzi bassi e dalla fresca open economy argentina;
tra i nuovi proprietari terrieri figurano celebrità come Sylvester
Stallone, Ted Turner, Jerry Lewis e George Soros. Quando la Benetton, o
più precisamente la sua holding finanziaria Edizione Holding Spa (sempre
di proprietà della famiglia), rilevò nel 1991 la società britannica
Compania Tierras Sud Argentina, divenne la maggiore possidente del
paese.
Gran parte della sua terra venne usata per far pascolare
280.000 pecore, la cui lana veniva utilizzata direttamente per produrre i
maglioni della ditta. E per dimostrare che i nobili sentimenti della
società non erano cambiati, nel 2002 la Benetton aprì il Museo Leleque,
nel villaggio che porta lo stesso nome, “per narrare la cultura e la
storia di una terra leggendaria”. Divenne poi noto ciò che disse Carlo
Benetton nel momento in cui prendeva possesso dei propri domini: “La
Patagonia mi dà un’incredibile sensazione di libertà”.
Ma la
Benetton sembra invece dare ai suoi vicini Mapuche sopravvissuti
un’incredibile sensazione di reclusione. Atilio Curinanco è nato a
Leleque, a meno di un chilometro dal luogo in cui oggi sorge il nuovo
museo Benetton.
Si trasferì con la moglie Rosa e i quattro figli nella
vicina città di Esquel per cercare lavoro ma, messo in ginocchio come
tanti altri dalla tremenda recessione che seguì la crisi argentina del
2001, decise di tornare alla terra natale, tentando di racimolare il
necessario per vivere in maniera tradizionale.
Lui e sua moglie
misero gli occhi su un terreno disabitato di 300 ettari, chiamato Santa
Rosa, terra che tradizionalmente apparteneva ai mapuche e che era situato
accanto a una tenuta dei Benetton. Nel dicembre 2001 si recarono
all’Instituto Autaqquico de Colonizacion (IAC), ente fondiario statale,
per chiedere il permesso di occupare quel terreno. Otto mesi dopo,
nell’agosto 2002, lo IAC disse loro che la proprietà “era stata dichiarata
area commerciale”, e che l’ente intendeva “riservarla a una
micro-impresa”. Il signore e la signora Curinanco lo intesero come un via
libera: si presentarono alla stazione di polizia locale per dichiarare che
avevano intenzione di prendere possesso di quella terra, e nello stesso
giorno si trasferirono là con un gruppo di amici e iniziarono a
lavorarci.
Come disse in seguito la signora Curinanco: “Ci siamo
recati in quella proprietà senza far male a nessuno. Non abbiamo tagliato
nessuna recinzione. Non ci siamo nascosti. Aspettavamo solo che qualcuno
venisse e ci facesse sapere se lo disturbavamo”.
In meno di un mese,
tuttavia, la “Compagnia” (come è conosciuta la Benetton tra la gente del
posto) notificò alla coppia che quel terreno era di sua proprietà e che
intendeva riprenderselo. In meno di due mesi arrivò la polizia, confiscò i
loro oggetti personali e smantellò la loro nuova casa.
Ma vennero
trascurati i risvolti svantaggiosi della vicenda, e infatti non stava
affatto mettendo bene per l’immagine aziendale della Benetton,
accuratamente costruita e promulgata nei suoi 7.000 punti vendita in più
di 120 paesi. Non appena la storia arrivò alle orecchie della stampa, nel
novembre 2002, il vicepresidente della Compagnia incontrò i Curinanco e
tentò di strappare loro un accordo: la Benetton avrebbe lasciato cadere le
accuse contro di loro, disse lui, se avessero smesso di coltivare la
terra. I Curinanco rifiutarono.
Il mese scorso, il caso è arrivato
in tribunale nella provincia meridionale di Chubut, con la coppia
costretta a difendersi dall’accusa di usurpazione. Dopo che i primi due
testimoni della Benetton hanno ritrattato la loro precedente deposizione e
hanno negato che la coppia avesse tagliato le recinzioni o che fosse
entrata nella proprietà di notte, l’accusa penale è caduta. Ma alla
famiglia è stato detto che deve comunque abbandonare il terreno, perché
questo appartiene alla Compagnia.
Oggi, quasi due anni dopo lo
sfratto, il terreno è ancora disabitato e inutilizzato. “Per noi, la
democrazia non è ancora arrivata”, ha commentato tristemente Mauro Millan,
leader dei mapuche, subito dopo l’udienza.
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Tradotto da Silvia Magi per Nuovi Mondi
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Lettera aperta di Adolfo Pérez Esquivel, premio Nobel
per la pace, al signor Benetton
Riceva il mio saluto di
Pace e Bene.
Le scrivo questa lettera, che spero legga attentamente,
tra lo stupore e il dolore di sapere che Lei, un imprenditore di fama
internazionale, si è avvalso del denaro e della complicità di un giudice
senza scrupoli per togliere la terra ai fratelli Mapuche, nella provincia
di Chubut, nella Patagonia Argentina.
Vorrei ricordarle che Mapuche
significa Uomo della Terra e che esiste una comunione profonda tra la
nostra Pachamama, “ la Madre Terra”, e i suoi figli.
Tra le braccia di
Pachamama ci sono le generazioni che vissero e che riposano nei tempi
della memoria.
Deve sapere che quando si toglie la terra ai popoli
nativi li si condanna a morte, li si riduce alla miseria e all’oblio. Ma
deve anche sapere che ci sono sempre dei ribelli che non zoppicano di
fronte alle avversità e lottano per i loro diritti e la loro dignità come
persone e come popolo.
Continueranno a reclamare i loro diritti
sulle terre perchè sono i legittimi proprietari, di generazione in
generazione, sebbene non siano in possesso dei documenti necessari per un
sistema ingiusto che li affida a coloro che hanno denaro.
É difficile
capire quello che dico, se non si sa ascoltare il silenzio, se non si è in
grado di recepire la sua voce e l’armonia dell’universo che è una delle
cose più semplici della vita. Qualcosa che il denaro non potrà mai
comperare.
Quando giunsero i conquistatori, gli “huincas" (i
bianchi), massacrarono migliaiai di popoli “con i loro pali di fuoco”
perpetrando etnocidio per appropriarsi della loro ricchezza e rubando loro
terra e vita. Purtroppo questo saccheggio continua fino a oggi.
Signor Benetton, Lei ha comprato 90 mila ettari di terra in
Patagonia per accrescere la sua ricchezza e potere e si muove con la
stessa mentalità dei conquistatori; non ha bisogno di armi per raggiungere
i suoi obiettivi ma uccide, con la stessa forma, usando il denaro. Vorrei
ricordarle che “non sempre ciò che è legale è giusto, e non sempre quello
che è giusto è legale”.
Vorrei dirle che Lei ha tolto, con la
complicità di un giudice ingiusto, 385 ettari di terra, con la armi del
denaro, a un'umile famiglia Mapuche con una dignità, un cuore, una vita;
loro sono Atilio Curiñanco e Rosa Nahuelquir proprietari legittimi da
sempre, per nascita e per diritto dei loro padri.
Vorrei farle una
domanda, signor Benetton: Chi ha comprato la terra a Dio?
Lei sa
che la sua fabbrica dagli abitanti del luogo è chiamata “la gabbia”, cinta
con fil di ferro, che ha rinchiuso i venti, le nubi, le stelle, il sole e
la luna. E' scomparsa la vita perchè tutto si riduce al mero valore
economico e non all’armonia con la Madre Terra.
Lei si sta
comportando come i signori feudali che alzavano muri di oppressione e di
potere dei loro latifondi.
A Treviso, quel bel paese nel nord
Italia, dove Lei ha il centro delle sue attività, non so quello che
pensano i cittadini e le cittadine riguardo alle sue azioni.
Spero che
reagiscano con senso critico e pretendano che Lei agisca con dignità e
restituisca questi 385 ettari ai legittimi proprietari.
Sarebbe un
gesto di grandezza morale e le assicuro che riceverebbe molto di più che
la Terra: la grande ricchezza dell'amicizia che il denaro non potrà mai
comprare.
Le chiedo, signor Benetton, che viaggi in Patagonia e che
incontri i fratelli Mapuche e che divida con loro il silenzio, gli sguardi
e le stelle.
Credo che il luogo che con la sua presenza chiamano “La
gabbia”, verrebbe chiamata “L’amico” e la gente di Treviso sarebbe onorata
di avere nel suo paese una persona con il cuore aperto alla compresione e
alla solidarietà.
La decisione è sua. Se decide di restitutire la
terra ai fratelli Mapuche mi impegno ad accompagnarla e dividere con Lei e
ascoltare la voce del silenzio e del cuore.
Tutti siamo di passaggio nella vita, quando arriviamo siamo in realtà in partenza e non possiamo portare niente con noi.
Possiamo, però, lasciare al nostro
passare le mani piene di speranza per costruire un mondo più giusto e
fraterno per tutti.
Che la Pace e il Bene la illumini e le
permettano di trovare il coraggio per correggere i suoi
errori.
Adolfo Pérez Esquivel
Premio Nobel della Pace 1980
da:
http://www.mapuche-nation.org/espanol/main/benetton/noticias/carta-01.htm
ID 224, ut 1, pubblicato il 12/07/2004